Torino - Teatro Regio 11/12/2014

Intervento del Presidente Napolitano in occasione della sessione di apertura dell'Italian-German High Level Dialogue

Caro Presidente Gauck,
Caro Sindaco di Torino, che oggi insieme alla Sua città ci ospita con tanto calore,
Carissimi giovani,
Signore e Signori,

sono molto lieto di poter questa sera assistere, insieme al Presidente Federale tedesco, all'avvio dell'anno "Torino-Berlino", che si preannuncia nutrito di iniziative nei più diversi ambiti del rapporto bilaterale e la cui portata va al di là di un ponte tra due grandi, belle, importanti città, per assumere una marcata valenza nazionale, offrendo un utilissimo stimolo per dare impeto nuovo e accresciuto alimento al rapporto tra Italia e Germania, già oggi ricco e vitale.

Sono anche particolarmente lieto di poter dare l'avvio qui ad un qualificato Forum italo-tedesco di dialogo e confronto ad alto livello, la cui idea è nata da un nostro informale seminario al Quirinale, quasi con l'obbiettivo di rispondere alle preoccupazioni che sorgevano in me, ben più di un anno fa, mentre vedevo profilarsi all'orizzonte una serie di malumori e di difficoltà. Tali difficoltà sono apparse principalmente legate alle diverse dinamiche dell'economia italiana e di quella tedesca ed alle diverse impostazioni su cui si è messo via via l'accento a Berlino e a Roma per far fronte alla crisi che ormai da troppi anni pesa sul continente.

Domani, i panel in cui si articola l'iniziativa entreranno certo nel vivo di tale questione, che è assai complessa e portatrice di non secondarie conseguenze, non solo per le nostre economie nel loro complesso e nei loro diversi settori, ma anche e soprattutto per la gente, per i nostri popoli e per il futuro dei nostri giovani. Sono certo che dal confronto di domani emergeranno anche idee nuove e positive per contrastare un certo affievolimento dei contatti tra le diverse articolazioni delle nostre società - al livello di università, partiti politici, mezzi di informazione - e per mettere anzi a profitto quello che va considerato uno dei principali punti di forza dell'Europa di oggi : cioè proprio il rapporto tra Italia e Germania. Un rapporto nel quale così profondamente l'economia si intreccia e integra con la politica e la politica con la cultura.

Ma oltre alle iniziative cui ho fatto cenno, quest'incontro è per me, per noi - caro Presidente Gauck - carico di significato e di emozione.
Non posso non considerare l'appuntamento di questa sera - che si svolge di fronte ad una platea numerosa e qualificata e che include tanti nomi significativi del rapporto italo-tedesco nel settore della finanza, dell'industria, del giornalismo, della cultura - come culmine della collaborazione e amicizia stabilitesi felicemente tra me, in una fase già molto avanzata del mandato, e il Presidente Gauck nelle prime fasi del suo mandato. Al manifestarsi e crescere della stima reciproca e dell'impegno comune, si è da subito accompagnata una scintilla di personale simpatia e fervore morale.
E mi piace perciò sottolineare come l'incontro di oggi si ricolleghi inevitabilmente a quello che nella mia mente è rimasto impresso come il momento più alto e significativo nel rapporto, non solo tra noi due, ma tra i Capi di Stato italiani e tedeschi. Mi riferisco al nostro intervento alla cerimonia commemorativa dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema. Già allora, pur brevemente e lasciando che fosse la nostra stessa presenza in quel luogo a parlare, cercammo infatti di toccare il punto centrale, il cuore del rapporto italo-tedesco che ha saputo risorgere dopo gli anni distruttivi e dolorosi delle dittature e delle guerre, e attingendo nuovamente alle radici di un'intesa e di una cross fertilization che ha pochi eguali nella storia dell'Europa e del mondo.

Ci ritroviamo, a ventuno mesi da quell'incontro, in una circostanza e in un ambiente assai più gioiosi, ma sempre impegnati a riandare al punto centrale e al cuore del rapporto tra i nostri due paesi, con l'obbiettivo ben netto di imprimervi nuovo slancio e nuovo vigore, dopo un periodo di indubbia criticità e difficoltà sul piano generale europeo. Troppo spazio abbiamo forse dedicato - noi, i nostri governi, i giornali, le aziende, le banche - al confronto su questioni finanziarie e tecniche, che si stanno rivelando di grande peso per le nostre economie e per la vita dei nostri cittadini, ma che non possono e non devono farci dimenticare una più ampia visione comune, guidata dall'aspirazione irrinunciabile a portare fino in fondo, insieme, il grande processo dell'unione politica, della creazione di un'Europa che sia davvero la casa comune di tutti i suoi cittadini. Una casa dove essi possano sentirsi veramente, principalmente, essenzialmente cittadini europei.

Dei passi significativi si sono tuttavia compiuti dopo il nostro incontro a Sant'Anna : in occasione - ad esempio - delle elezioni per il Parlamento europeo. Alla vigilia di quelle elezioni, io e lei, Presidente Gauck, lanciammo un "appello" insieme al Presidente polacco Komorowski, per mettere i cittadini dell'Unione in guardia contro le derive del populismo e di un antieuropeismo che ha trovato fertile humus in una crisi economica difficilissima da gestire. Abbiamo chiamato gli elettori a riacquisire e diffondere la consapevolezza che all'integrazione dobbiamo settant'anni di crescita e progresso sociale e civile e innanzitutto - premessa essenziale - di pace in Europa. Come sottovalutare questa conquista preziosa, culminata a fine secolo nell'unificazione dell'Europa dell'Ovest, del Centro e dell'Est entro le istituzioni e le regole dei Trattati, a partire da quelli di Roma?
La conquista della pace in Europa grazie all'integrazione viene comunque oggi riproposta irresistibilmente in piena luce da straordinarie ricorrenze come quella dello scoppio della Prima Guerra mondiale e quella, all'altro estremo di una lunga parabola, della caduta del Muro di Berlino.
Sono convinto - come ogni europeo responsabile - che le lezioni del passato siano rilevanti se vengono tenute in considerazione per l'adozione delle decisioni dell'oggi. Se vi fu un conflitto nella Storia che avrebbe potuto essere evitato con una maggiore comprensione delle reciproche posizioni ed una minore propensione al ricorso incondizionato allo strumento militare, quel conflitto fu la Grande Guerra. Una guerra la cui portata fu così devastante da porre le premesse per il precipitare dell'Europa, appena venti anni dopo, nel baratro del secondo conflitto mondiale.

Italiani e tedeschi sono stati segnati così in profondità dalle guerre del XX secolo da dover ripensare fino in fondo non solo le rispettive politiche internazionali, ma il senso stesso della propria identità nazionale. I nostri paesi hanno allora visto l'Occidente come grande culla non solo per l'Europa e l'Europa come casa comune, dove la difesa dei propri valori e delle proprie legittime aspirazioni non deve e non può prescindere dal rispetto e dalla collaborazione con gli altri Stati. E che questa nuova sensibilità sia stata accompagnata da un'analisi rigorosa delle proprie responsabilità storiche, Italia e Germania lo hanno mostrato anche attraverso un processo di obbiettiva, seppur dolorosa, ricostruzione di quel passato in chiave severamente autocritica.

75 anni più tardi, il 9 novembre del 1989 cadeva il Muro di Berlino, città-simbolo della tragedia che divise non soltanto la nazione tedesca, ma anche l'Europa e il mondo, e si concludeva dopo le due guerre combattute e sofferte innanzitutto in Europa, anche la Guerra Fredda.

Il richiamo a quel sanguinoso "secolo breve" e a quel cammino verso la pace dell'Europa via via unitasi che infine lo riscattò, è decisivo anche per orientarci e per operare efficacemente in un mondo interdipendente e globalizzato in cui sono venuti diffondendosi - negli ultimi anni come non mai - vecchi e nuovi, allarmanti focolai di tensione e di conflitto, anche non lontano dalle frontiere dell'Europa. E perché l'Europa possa fare in questo contesto la sua parte, essa deve attingere alle prove affrontate e, dal 1950, superate lungo una strada nuova.
La perdita di contatto con il nostro passato che si è venuta, da anni, via via verificando nelle nostre società, va considerata una delle più gravi malattie della nostra epoca. Un morbo contagioso anche per le classi dirigenti, come ci hanno dimostrato questi anni difficili, di crisi economica profonda. E' paradossale infatti come allo slancio che ci ha permesso di giungere alla moneta unica - cioè al traguardo finora più avanzato del nostro percorso di integrazione - siano seguiti momenti di massima divaricazione nell'Unione, tra i suoi paesi o Stati membri, i loro governi,le loro leadership.

C'è stata - questa è la verità - una complessiva inadeguatezza a padroneggiare le implicazioni della creazione dell'Euro e di una politica monetaria sovranazionale, a darvi tutte le proiezioni e gli sviluppi necessari sul piano delle politiche fiscali ed economiche e ad avanzare sul terreno di una Unione Politica. Uscire da quei limiti fatali e sciogliere in questa ottica i nodi di una crisi nata fuori d'Europa ma degenerata in Europa nella più profonda e ostinata recessione, questa è la nostra responsabilità. Di Italia e Germania in modo particolare, per il peso che abbiamo avuto nei decenni più fecondi della costruzione europea.

Quel che dobbiamo chiedere a noi stessi ce lo suggerisce la consapevolezza della straordinaria genuinità e forza ispiratrice che animarono i nostri padri fondatori - specie italiani e tedeschi - dell'Europa comunitaria e, con essi, della loro generazione. E' un fatto che in vicende complesse di crisi della Comunità mai s'incrinò l'apporto coerente e costruttivo di Italia e Germania, da cui non venne mai alcuna "politica della sedia vuota" o alcuna pretesa di "giusto ritorno" e nemmeno vennero voti referendari contro il progetto di Trattato costituzionale. E forse se dall'Italia di De Gasperi e dalla Germania di Adenauer, fu tracciata e lasciata in eredità ai propri successori una così profonda visione europeistica in senso politico e federale, fu anche perché Italia e Germania erano i paesi che più tragicamente avevano pagato l'avventura nazionalistica. Commuovono ancor oggi i ritratti che di Adenauer e di De Gasperi ci dà nelle sue Memorie Jean Monnet, sottolineando l'intesa tra loro.

Ebbene, essere all'altezza di quella tradizione, significa per voi, cari amici tedeschi, e per noi italiani reagire senza ulteriore indugio a un pericolo che chiamerei di immeschinimento del clima nel rapporto tra i nostri paesi.
Le difficoltà ci sono, i dissensi anche, ma occorre superarli attraverso una pubblica discussione che non smarrisca mai il senso del limite e soprattutto il valore dei tanti momenti alti della nostra collaborazione. La discussione non può scivolare sul terreno dei luoghi comuni, dei cliché negativi che rimbalziamo da una parte all'altra.
Ma partiamo dalla sostanza. Credo che condividiamo tutti la drammatica priorità del cercare risposte al problema della disoccupazione, e specialmente di quella giovanile, che fa tutt'uno con interrogativi assillanti sul futuro delle nuove generazioni.

Di qui l'impegno che in termini generali non ha potuto non essere condiviso, sia pure con accentuazioni diverse, dalle istituzioni dell'Unione : l'impegno a sconfiggere la recessione, scongiurare la deflazione, adottare misure idonee a rilanciare la crescita ponendola su basi di maggiore produttività e competitività delle nostre economie. E ciò senza trascurare - come egualmente sembra da tutti riconoscersi - la prospettiva del riequilibrio e risanamento delle nostre finanze pubbliche, dei nostri bilanci.

Ma il confronto sul rapporto tra queste due istanze cruciali, su come focalizzare le politiche economiche e finanziarie europee, su quali strumenti di intervento privilegiare, è un confronto complesso e serio, che non dovrebbe conoscere polemiche unilaterali e produrre contrapposizioni paralizzanti. Tantomeno si dovrebbe risalire da divergenze concrete, o da tensioni nella ricerca di soluzioni condivise, a presunti vizi organici o malattie ricorrenti che consentirebbero di etichettare negativamente l'uno o l'altro dei nostri paesi.

Liberiamoci, cari amici, di queste fuorvianti tendenze alle valutazioni o definizioni sommarie se non sprezzanti. E il peggio è il non considerare mai credibili le posizioni dell'altro. Spesso dimentichiamo che la solidarietà, nel senso più comprensivo e serio del termine, è un pilastro della costruzione europea : mentre la diffidenza reciproca ne è un micidiale fattore dissolvente.

Dalla diffidenza reciproca e dalla svalutazione delle esigenze e delle proposte altrui, non è poi così lontano il rischio di una ricaduta nazionalistica. Non bisogna solo pensare - per esorcizzarlo - al nazionalismo aggressivo e bellicistico in cui s'immersero i nostri paesi nella prima metà del Novecento, ma a un nazionalismo che già si avverte nel porre l'interesse del proprio paese - e le politiche che esso detta - al di sopra di una responsabile identificazione con l'interesse comune europeo, che fin dall'inizio fu posto a base di un'evoluzione unitaria dell'Europa come entità economica e politica sempre più integrata.
Il recuperare quello spirito del grande disegno europeo, e adeguare le istituzioni dell'Unione, il loro modus operandi, la loro capacità di iniziativa e di guida, è l'obbiettivo che la Presidenza di turno italiana si è proposto in questo semestre, che ha coinciso con il decollo, dopo le elezioni del Parlamento di Strasburgo, di un nuovo ciclo istituzionale. Credo che il governo italiano abbia ben accompagnato questo decollo, contribuendo al raggiungimento di soluzioni unitarie valide innanzitutto per il varo della nuova Commissione e per il conferimento dei nuovi massimi incarichi al vertice delle istituzioni. Abbiamo posto con eguale nettezza all'ordine del giorno del semestre di presidenza italiana un deciso avanzamento del necessario processo di riforme interne - nel rispetto delle regole di bilancio - e il contributo all'avvio di un nuovo corso delle politiche dell'Unione in funzione del superamento della crisi che ancora pesa sulle nostre economie, sulle nostre società. Ne farà il punto - in occasione della chiusura del semestre - il nostro Presidente del Consiglio dinanzi al Parlamento di Strasburgo.

Ma desidero concludere tornando al valore di questo Forum come rilancio di un impegno ad allargare, su tutti i piani, l'orizzonte dei rapporti tra Italia e Germania, non solo tra i nostri Stati, tra i nostri governi, tra le nostre rappresentanze nelle istituzioni europee, ma tra le nostre società - le nostre forze sociali, mondo delle imprese e mondo del lavoro - così come tra le nostre realtà ed energie culturali.

Come ha ben detto qui il professor Rusconi, ci sono "enormi lacune" nella nostra conoscenza reciproca. Più questa si approfondirà, più risulterà in piena luce quel che rappresentiamo, quel che ci distingue e quel che ci unisce. Le insopprimibili differenze vitali e culturali tra i nostri popoli sono, se correttamente intese ed apprezzate, una ricchezza per tutta l'Europa, al pari dell'esperienza che insieme, Germania e Italia, ci ha coinvolto, fianco a fianco, sulla strada dell'unità europea. Senza dialogo costante e in profondità, senza pieno rispetto reciproco, amicizia e organica collaborazione, tra Germania e Italia, non c'è Europa, non può esserci futuro per un'Europa unita nel mondo di oggi e di domani.

La ringrazio ancora, caro Presidente Gauck, per aver accettato di condividere con noi l'occasione e la riflessione di questo Forum a Torino, portandoci il contributo del suo nobile europeismo, e del suo magistero spirituale e morale.