Madrid 03/10/2012

Intervento del Presidente Napolitano in occasione dell'VIII Simposio COTEC Europa

Maestà,
Signor Presidente della Repubblica del Portogallo,
Signor Vice Presidente della Commissione europea,
Signori Presidenti delle Fondazioni nazionali COTEC,
Signore e Signori,

questo ottavo Simposio della Fondazione COTEC Europa cade a pochi mesi dalla conclusione del mio mandato in Italia. Nel trarre un bilancio resto fermamente convinto della bontà di questa iniziativa, sotto il profilo sia dei contenuti sia delle sinergie fra i nostri tre Paesi che vi hanno dato vita. Devo tuttavia constatare che la COTEC non ha ancora sviluppato tutte le potenzialità che ci si attendeva, quanto meno sul versante italiano. In un contesto europeo e, soprattutto, mondiale in cui crescita, competitività e innovazione sono tre termini di una stessa sfida, alla quale Italia, Portogallo e Spagna non si possono sottrarre, la COTEC può rappresentare un utilissimo volano di stimolo e rilancio. Alle nostre tre Organizzazioni nazionali tocca intercettare ed elaborare i bisogni di innovazione e crescita dell'intera aerea mediterranea. Il mio caloroso invito a tutti voi è ad avvalersene e non trascurarne le potenzialità. I bisogni delle nostre economie e dei nostri sistemi produttivi, e soprattutto le pressanti domande dei nostri giovani in cerca di occupazione, i precedenti oratori vi si sono già riferiti, non ce lo possono permettere.

A distanza di tre anni incontro nuovamente in questa stessa prestigiosa cornice del Palacio Real de El Pardo Sua Maestà il Re di Spagna e il Presidente della Repubblica del Portogallo, a conferma della profondità dei legami che uniscono i nostri rispettivi Paesi e i nostri popoli.

Venendo alla tematica che ci impegna qui - ricerca e innovazione - ritengo felice la scelta di focalizzare i nostri lavori di questa sessione sulle piccole e medie imprese. L'Italia ne detiene il record europeo per densità : oltre 4 milioni, su un totale di 4 milioni e mezzo di imprese, sono piccole e medie. Il confronto che qui ha luogo tra accademici, imprenditori e Istituzioni è pertanto di assoluta rilevanza ai fini degli interessi italiani e foriero, mi auguro, di indicazioni operative sui cambiamenti e sviluppi necessari a preservare la vitalità di questo essenziale settore delle nostre economie.

E' indispensabile innalzare i nostri modelli nazionali di ricerca e legarli più strettamente alla produttività, in un mondo radicalmente cambiato con la globalizzazione, che da tempo non è più tema di dibattito teorico ma è nodo reale e stringente sul piano politico, economico e occupazionale.

Nel 2015, fra tre anni, il 90% della crescita economica mondiale sarà generata al di fuori dell'Unione Europea. Per coglierne le opportunità, per non mancare quelle legate al costante incremento degli scambi internazionali (+6% anche nel 2011, nel pieno della crisi finanziaria mondiale), dobbiamo migliorare la qualità dei nostri servizi, dei nostri prodotti e dei processi di produzione. Abbiamo, come Italia, Spagna e Portogallo energie, competenze e strumenti per superare con successo l'attuale crisi e conservare le nostre posizioni più avanzate. Ancora oggi, non dimentichiamolo, i Ventisette Paesi membri dell'Unione Europea, insieme rappresentano il primo attore al mondo per commercio di beni manufatti, il primo per commercio di servizi e un attore dominante nel campo degli investimenti esteri diretti. Perciò il fatalismo del declino è fuorviante. Quello che sarà dell'Europa e dell'Occidente dipenderà da noi.

Con la Strategia "2020", l'Unione Europea, (ce lo ricordò già nel 2011 a Genova il Vice Presidente Tajani), sostiene prioritariamente gli sforzi nazionali nel campo dell'innovazione. L'Italia guarda con pieno favore allo "Spazio europeo della ricerca", inteso a fare dell'innovazione e delle nuove tecnologie la componente essenziale di una riconversione industriale centrata sulla sostenibilità, sulla rigenerazione delle risorse primarie, sulla cooperazione e l'integrazione fra "ricerca" e sua "applicazione".

Le piccole e medie imprese facilitano l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro, sono flessibili, fanno leva su un forte radicamento socio-territoriale. Queste le loro forze. Per converso possono apparire come "bonsai" nella "giungla" della globalizzazione. Per ovviare alla loro oggettiva debolezza non possono che imparare a fare sistema, ad aggregarsi - ad esempio - in distretti che fungano da nastri trasmettitori dell'innovazione. Quando siano aziende sotto-capitalizzate, ed è il caso di molte tra le piccole imprese, dalle economie di scala e la più fluida trasmissione delle innovazioni dipende spesso la loro sopravvivenza e il loro futuro.

C'è poi una responsabilità delle istituzioni, e ne avete discusso stamane nel quadro della sessione tecnica. Essa può esprimersi, ad esempio, qualificando la domanda pubblica idonea a sostenere l'innovazione o definendo gli interventi per affinare le politiche a favore della ricerca, o ancora ponendo in essere un quadro normativo che protegga sufficientemente i diritti di proprietà intellettuale. Senza ignorare, i vincoli in cui inevitabilmente operano tutti i nostri bilanci pubblici nazionali.

Il rapporto del World Economic Forum sulla competitività globale 2012-2013 ribadisce come la competitività di un Paese dipenda di certo grandemente dall'innovazione tecnologica. Ma dipende anche dalla qualità del servizio pubblico, così come delle risorse umane e delle infrastrutture ; dalla riduzione delle instabilità macroeconomiche ; dall'efficienza del mercato del lavoro, di quello dei capitali e delle merci. La sinergia pubblico-privato è pertanto imprescindibile, pur nella diversità di approcci e di culture professionali. Il Rapporto che ho citato pone l'Italia, al pari di Spagna e Portogallo, tra i Paesi Innovation driven, ma solo al 42° posto nella classifica mondiale della competitività. E l'essere risaliti di un posto è una magra consolazione. La spesa per ricerca e innovazione è bassa in Italia (1.26% del Prodotto lordo) ed è insufficiente in media nell'insieme dell'Unione Europea (1.91%). Fanno eccezione i picchi virtuosi in Nord Europa. Il raffronto con la spesa per ricerca e innovazione negli Stati Uniti (circa il 3%), in Corea del Sud (3.74) o in Giappone (intorno al 3.5%) non necessita commenti. Tuttavia, anche da noi in Italia gli imprenditori più lungimiranti hanno mantenuto inalterati gli investimenti in innovazione in questi anni di crisi, esprimendo così la loro aspettativa razionale per il superamento della crisi e la loro convinzione circa il ruolo cruciale della spesa per ricerca e innovazione.

Insieme le tre Organizzazioni nazionali che cooperano nel Cotec Europa possono farsi interpreti autorevoli del patto federativo sull'innovazione e valorizzare le giovani generazioni, aprendo con fiducia alle loro idee, creando nuove opportunità.

Con questa nota di ottimismo nelle nostre capacità e nella nostra visione, Maestà, tengo a rinnovare la mia fiducia in quest'iniziativa dei nostri tre Paesi e auguro al COTEC un pieno successo nel liberare le potenzialità dei nostri sistemi produttivi.