Macerata 15/10/2020

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico 2020/2021 dell’Università degli Studi di Macerata

Desidero rivolgere un saluto molto cordiale a tutti i presenti in questo splendido teatro e nell’altrettanto bella piazza adiacente.

Ringrazio molto il Magnifico Rettore per l’invito ad essere presente all’apertura del 730° anno accademico di questo Ateneo.

Saluto il Ministro dell’Università, ringraziandolo per il suo impegno; il Presidente della Regione, con molti auguri per il suo lavoro. Come ha ricordato, mi ha scritto una lettera nei giorni scorsi e colgo quest’occasione per riaffermare con ferma determinazione che la ricostruzione dei territori colpiti dal terremoto, che è ormai di quattro anni addietro, rappresenta un punto primario dei doveri della Repubblica. La presenza qui del Commissario per la ricostruzione, nominato da qualche mese e che sta intensamente operando, è una testimonianza di impegno che io continuerò a seguire con molta e costante attenzione.

Saluto il Sindaco, ringraziandolo dell’accoglienza nella sua bella città e, attraverso lui, rivolgo un saluto a tutti i suoi concittadini. Saluto il Presidente della Provincia, i Rettori di altri Atenei presenti, il Corpo accademico, il personale amministrativo, tecnico e bibliotecario, e un saluto particolarmente intenso agli studenti che sono i veri destinatari di questa cerimonia.

Il Sindaco poc’anzi ha cortesemente ricordato che questa è la prima visita ad un ateneo che compio dopo l’interruzione per il lockdown. Lo ringrazio. Qui a Macerata riprendo un viaggio che dura ormai da oltre cinque anni attraverso i nostri atenei, cioè quel tessuto di approfondimento e trasmissione del sapere che costituisce fondamentale elemento di garanzia per il futuro del nostro Paese.

E poc’anzi il Magnifico Rettore ha ricordato il 1290, l’anno in cui fu costituita la scola che ha iniziato la vita universitaria di questo Ateneo, e ha ricordato, con questa rivendicazione opportuna di antico radicamento storico di questa università, anche alcuni tra i tanti illustri docenti che questo Ateneo ha avuto nel suo Corpo docente.

Ha anche ricordato il radicamento culturale che lo lega a questo territorio: da Giacomo Leopardi a Padre Matteo Ricci, maceratese, alla cui tomba ho reso omaggio a Pechino, tomba che lì è sempre stata circondata da rispetto e da onore, avendo aperto a quel Paese – come gli viene riconosciuto tutt’oggi - porte di ambiti culturali prima non praticati.

Quello che il Rettore ha fatto però nella sua interessante relazione sullo stato dell’Ateneo e sulle sue prospettive non è stata una rivendicazione di storia e di radicamenti culturali rivolti con lo sguardo al passato. Memoria e futuro, ha detto spesso. E lo sguardo è rivolto al futuro. E questo Ateneo lo ha dimostrato con la reazione pronta all’evento drammatico del terremoto riprendendo dopo pochissimi giorni l’attività dell’Università, e lo ha dimostrato anche, come i nostri atenei in tutta Italia, in occasione della pandemia, trovando formule nuove e modalità efficaci di mantenimento del rapporto tra docenti e studenti nell’ambito della vita della comunità universitaria.

Il legame tra passato e futuro in questa Università è emerso anche negli altri interventi. La dottoressa Fraticelli ci ha ricordato il valore delle biblioteche, di questi giacimenti di sapere passato e contemporaneo offerti per la crescita culturale del Paese e dei nostri studenti, che si avvalgono anche degli strumenti più moderni per la loro consultazione.

Il direttore generale ha parlato di programmi, di strutture che questo Ateneo ha di fronte a sé. Ma questo richiamo al futuro, questa proiezione verso il futuro è emersa con molta forza negli interventi degli studenti. Non vorrei sbagliare i nomi, mi pare che siano Damian Czarnecki e Arianna Giulianelli. Vorrei fare alla dottoressa Arianna gli auguri per la prossima laurea magistrale.

Dai loro interventi è emersa questa proiezione verso il futuro e la volontà di realizzarlo con il proprio protagonismo.

Il rappresentante degli studenti, Nicola Maraviglia, poc’anzi ha ripreso questa tensione chiedendo ai suoi colleghi di non delegare il proprio futuro ma di esserne protagonisti.

Mi ha fatto venire in mente alcune parole di Bernanos che diceva: "è la febbre dei giovani che mantiene a temperatura normale la temperatura del mondo", perché se quella si raffreddasse il mondo gelerebbe. Non è dagli anziani che può venire il calore delle prospettive, dei progetti, delle spinte verso il futuro, ma è appunto quella che Bernanos chiama ‘la febbre dei giovani’.

Di questo si è avuta qualche eco nella lectio del Professor Alici quando ha parlato dei giovani che sono nel mondo di oggi, coloro che sottolineano, richiamano e si battono per le questioni più significative.

Al Professor Alici vorrei formulare il ringraziamento più intenso da parte di tutti e un apprezzamento molto grande. Professore, lei ci ha fornito sul mondo di oggi e sui suoi problemi di fondo una scena ripresa dalla metodologia degli antichi filosofi greci: due portatori di tesi contrapposte e infine un percorso di sintesi che viene proposto e raffigurato.

Nell’apologo che lei ha presentato poc’anzi il vecchio docente dichiara che la sua generazione ha fallito. È un giudizio forse troppo severo che fa questo docente su se stesso e sulla sua generazione, ma è ben noto che ogni generazione alla fine del suo ciclo misura la differenza tra le ambizioni iniziali e i risultati conseguiti nel corso del tempo.

Ma non c’è dubbio che il mondo comunque sia cambiato. E anche grazie alla trasmissione di valori assicurata dalla generazione e di cui quel docente anziano si faceva  carico come compito di trasmissione verso i giovani, così come faceva quel vecchio docente nei confronti dei due giovani interlocutori.

Il mondo è davvero cambiato.

Tempo fa ho fatto vedere ai miei nipoti una carta geografica del mondo, dei vari continenti, del 1948, accanto a quella di oggi. E, per l’Europa, quella intermedia del 1989. Il mondo è profondamente cambiato. Sono emersi nuovi protagonisti. Nella carta del ‘48 l’Africa, il Medioriente, l’Asia meridionale erano colorati di rosa per l’impero britannico o di marrone scuro per le colonie francesi, con qualche sprazzo di colore olandese, portoghese o belga. Ma sono emersi in questi anni dei nuovi protagonisti che rendono più ricca e articolata la vita del mondo, che mettono in discussione equilibri - come probabilmente è giusto e inevitabile - ma che si affacciano come protagonisti sempre più incisivi nella vita del mondo.

Questo apre a strade più ampie agli equilibri nel mondo e anche all’eguaglianza nella comunità mondiale.

È vero peraltro quello che lei, Professor Alici, ha messo in bocca al protagonista del suo apologo. Vi sono elementi di rammarico: le diseguaglianze cresciute e ampiamente cresciute; la democrazia che sembra talvolta in difficoltà, con qualche affanno. Anche se, in realtà, la democrazia ha sempre bisogno di essere realizzata, epoca per epoca, di essere inverata, particolarmente in una stagione come questa in cui freneticamente cambiano gli strumenti delle relazioni sociali e i mezzi della comunicazione. Ha bisogno di questo inveramento.

Ma la sua critica coglie nel segno quando parla del virus dell’individualismo, del riemergere dell’ego dei singoli e degli Stati.

Mentre lei parlava mi è venuto in mente un passo di Costantino Mortati, che qui è stato Rettore. Mortati scriveva – cito naturalmente in maniera approssimativa - che la democrazia poggia su una concezione, su una valutazione ottimistica dell’essenza dello spirito dell’uomo. Quando questa viene meno si indebolisce anche la democrazia e anche il senso di eguaglianza naturalmente.

E questo virus che lei ha indicato come altamente pericoloso, a somiglianza del virus che ci affanna in questi mesi, quello del riemergere dell’ego dei singoli e degli Stati, è un elemento che induce alla riflessione che quell’anziano docente faceva ai suoi giovani interlocutori. Ed è una riflessione doverosa.

Il Professor Alici ha parlato, a questo riguardo, della libertà come una medaglia con due facce: dell’autonomia e della responsabilità. E in questo modo, con questa descrizione e con quest’immagine efficacissima, ha ripreso un antico filone culturale di grande valore che parte dagli antichi filosofi greci sulla libertà che si ferma di fronte a quella degli altri.

Lo stesso brocardo del diritto romano “neminem laedere” nasce da questo, esprime questo. E tanti pensatori moderni hanno ripreso questo concetto: la libertà di ciascuno si ferma di fronte a quella degli altri. È un concetto di grande civiltà.

Io credo che dalle sue parole si comprende anche che occorre andare anche oltre questa enunciazione così fortemente avanzata e civile del pensiero di tanti secoli, accantonando l’idea che la libertà degli altri sia un limite alla propria, ma pensando al contrario che la libertà di ciascuno si integra con quella degli altri, che la libertà di ciascuno si realizza insieme a quella degli altri. Altrimenti la libertà non esiste.

La libertà rivendicata o anche soltanto praticata in maniera esclusiva non sarebbe tale; sarebbe, in realtà, una richiesta di arbitrio.

E questo riguarda i comportamenti che animano la vita sociale, come la vita della comunità internazionale.

Ma, come ha detto il Professore, questo riguarda - e tengo a sottolinearlo - anche la scienza.

Quando lei ha detto di sorprendersi dell’insieme, di avere una significativa meraviglia per l’insieme, ha colto un dato che è ineliminabile nelle prospettive che abbiamo nelle società e nella comunità internazionale. Ma che riguarda anche la scienza, appunto. Perché gli approcci settoriali sono di grande importanza, ma non sono esaustivi.

Occorre non perdere mai di vista il complesso della unicità del sapere, il complesso che intorno alla persona umana realizza, motiva e stimola i vari filoni della ricerca scientifica, e quindi chiama al dialogo i vari versanti del sapere perché si incontrino come sempre più è richiesto da questa epoca, dall’interdipendenza sotto ogni profilo.

Per questo motivo, Professore, la sua Lectio è stata straordinariamente efficace. La ringrazio molto per averla pronunziata. Ed è in linea con quanto il Rettore ha più volte detto e con quanto è apparso nelle scritte qui di fronte alla platea: l’umanesimo che innova, che è appunto la chiave, la sintesi, di quelle tesi contrapposte.

Grazie di questa mattinata così significativa in questo Ateneo di cui è stata sottolineata la vocazione umanistica.

Buon anno accademico!