Palazzo del Quirinale 31/07/2020

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia di consegna del “Ventaglio” da parte dell’Associazione Stampa Parlamentare

La ringrazio caro Presidente.

Lei ha svolto un’interessante e puntuale carrellata sui temi che contrassegnano questo momento così impegnativo.

Su alcuni di questi punti non mi è consentito esprimermi per rispettare la doverosa imparzialità istituzionale e per non entrare nel dibattito politico, come è dovere di chi riveste ruoli di garanzia.

Su altri punti interloquisco volentieri.

Lei ha ricordato gli eventi che sono intercorsi tra il nostro ultimo appuntamento un anno addietro e questo, particolarmente il sopraggiungere drammatico della pandemia e la particolare condizione che questa ha provocato nel nostro Paese come in tutto il mondo.

Lei ha sottolineato come il pericolo del virus sia attuale.

È un richiamo prezioso, opportuno, che anch’io mi propongo di riprendere.

Sovente, nel corso del tempo, affiora la tendenza a dimenticare, a rimuovere esperienze dolorose o anche soltanto sgradevoli. Era prevedibile che questo sarebbe potuto avvenire anche rispetto ai drammatici mesi trascorsi. Forse non era immaginabile che affiorasse così presto.

Mentre, nel nostro Paese, per la pandemia, continuano a morire nostri concittadini; ed è il caso di sottolineare che anche una sola vittima costituisca motivo di dolore e motivo per non abbassare le difese.

Mentre nel mondo muoiono ogni giorno migliaia e migliaia di persone, e ogni giorno si registrano ben oltre duecentomila contagi; e mentre la necessaria riapertura delle comunicazioni espone a nuovi rischi i Paesi che pensavano di aver superato i momenti più duri e più drammatici.

Sarebbe bene ogni tanto rileggere i prospetti quotidiani, che davano nei mesi scorsi notizia dei dati dell’epidemia, dei nuovi contagi, delle vittime, dei ricoverati in terapia intensiva. Io li conservo a partire dai primi giorni di marzo. Li ho riletti nei giorni scorsi.

Non possiamo – e non dobbiamo – dimenticare quel che è avvenuto, le settimane in cui morivano, quotidianamente, centinaia di nostri concittadini. In cui medici e infermieri, presenti negli ospedali, con abnegazione profondevano sforzi immani correndo rischi personali molto alti per curare i malati. In cui nei cimiteri non si trovava spazio per i tanti feretri.

Appena quattro mesi fa - il 31 marzo - sono morti in quel solo giorno oltre ottocento nostri concittadini.

Non possiamo - non dobbiamo - rimuovere tutto questo. Per rispetto di quei morti. Per rispetto di chi si è prodigato a curarli, conducendone tanti alla guarigione. Per rispetto dei sacrifici affrontati dai nostri concittadini con comportamenti apprezzati in tutto il mondo, che oggi ci permettono di guardare con maggiore fiducia rispetto al pericolo del virus. Altrove il rifiuto o l’impossibilità di quei comportamenti ha provocato e sta provocando drammatiche conseguenze.

Talvolta viene evocato il tema della violazione delle regole di cautela sanitaria come espressione di libertà. Non vi sono valori che si collochino al centro della democrazia come la libertà. Naturalmente occorre tener conto anche del dovere di equilibrio con il valore della vita, evitando di confondere la libertà con il diritto far ammalare altri. Imparare a convivere con il virus finché non vi sarà un vaccino risolutivo non vuol dire comportarsi come se il virus fosse scomparso.

Soltanto ricordando quel che è avvenuto – e senza dividerci in contrapposizioni pregiudiziali ma con una comune ricerca di prospettive - possiamo porre basi solide per la necessaria ripresa e per pervenire a una nuova normalità.

 

Il mondo dell’informazione è stato interpellato dal virus e, nonostante le obiettive difficoltà vissute dal settore e dai singoli giornalisti, ha dato prova di saper essere al servizio dell’interesse generale e dei cittadini.

L’avere posto al centro i fatti, l’approfondimento scientifico, la ricostruzione del fenomeno, il contributo fornito all’educazione ed al senso di responsabilità dei cittadini, hanno consentito ai media di svolgere un ruolo di grande rilievo nel contrastare la pandemia.

I dati degli ascolti televisivi, dei contatti web, della diffusione dei quotidiani in quei terribili mesi, testimoniano una ripresa di fiducia e di attenzione nei confronti dei media professionali.

Una opportunità, forse inattesa, che rilancia il ruolo del giornalismo, opposto alle fabbriche della cattiva informazione, di quelle che siamo abituati ormai a definire fake news, notizie contraffatte, per esprimersi in italiano.

In questa occasione l’informazione professionale, di qualità, è stata, evidentemente, riconosciuta dai nostri concittadini come capace di poter garantire una affidabilità non attribuibile ad altri ambiti.

Sul tema delle notizie manipolate può, tuttavia, sorgere un equivoco che è opportuno evitare, giacché potrebbe evocare il rischio della tentazione di un controllo sulle libere espressioni di stampa.

Le fake news - notizie contraffatte - sono, normalmente, il prodotto di azioni malevole, abitualmente anonime, concertate allo scopo di ingannare la pubblica opinione, contando sull’effetto moltiplicatore del web e sulla assenza di sanzioni che caratterizza un mondo privo di responsabilità definibili. La pretesa di un “non luogo”, come è stato chiamato, dove ci si può permettere di propalare presunti fatti, falsati o inesistenti, senza alcuna sanzione.

Esattamente l’opposto dell’informazione professionale che prevede anche sistemi di sanzioni puntuali sia degli organi preposti alla deontologia professionale, che da parte della magistratura.

I due fenomeni non vanno quindi in alcun modo confusi.

Anche sulla base dell’esperienza di questi mesi va ricordato che quella della libertà di stampa come bene pubblico è questione che attiene alla libertà delle persone.

Questo tempo inedito e sofferto che abbiamo vissuto ci ha indotto a riflettere su molte cose che forse eravamo abituati a dare per scontate. E su altre che rischiavano di apparire persino svuotate di senso, ridotte a semplici luoghi comuni.

Per alcuni aspetti credo che si possa dire che il tempo del forzato isolamento, del silenzio, talvolta della solitudine, abbia sollecitato tutti a porre in discussione il nostro rapporto con la realtà. A ridare significato a parole e gesti di cui, improvvisamente, abbiamo sentito l’urgenza. Il rapporto con gli altri, la dimensione comunitaria, il valore dell’ambiente, il legame con la natura. Chiusi nelle nostre case abbiamo pensato spesso che il dopo avrebbe dovuto essere necessariamente diverso.

È una consapevolezza del bisogno di un cambiamento che non riguarda soltanto la sfera personale, ma che, su un piano generale, riguarda e si registra anche nel confronto e nei rapporti tra Paesi diversi. Tutti sfidati dallo stesso rischio - il virus che non rispetta le frontiere - e quindi tutti esposti alla medesima fragilità.

La risposta si è tradotta in esperienze preziose di reciproca solidarietà. E desidero ringraziare ancora tutti quei Paesi che hanno dimostrato vicinanza e amicizia all’Italia, così come l’Italia ha fatto, in egual misura, nei confronti di tanti Paesi che avevano bisogno di aiuto.

Si è così, naturalmente, direi inevitabilmente, affermata la consapevolezza che nessuno avrebbe potuto affrontare e vincere da solo questa sfida. La convinzione che uniti si è più forti.

Credo che soprattutto questo sia stato il presupposto fondamentale che ha consentito un radicale, per certi versi inimmaginabile, cambio di paradigma politico e istituzionale dell’Unione europea di fronte alla crisi.

Costruire una posizione concorde non è esercizio facile. Eppure noi europei vi siamo riusciti, di fronte alla pandemia.

L’Italia ha trovato condivisione e solidarietà da popoli e Paesi a cui ci uniscono vincoli di civiltà, esperienze di un passato che ci ammonisce, alleanze solide e sperimentate.

Le iniziative, la quantità di risorse ma, soprattutto, la qualità e le formule profondamente innovative messe in campo dalle principali istituzioni comunitarie – dalla Commissione alla Banca centrale, alla Bei - sollecitate dal Parlamento europeo, le scelte del Consiglio europeo – hanno una portata straordinaria e manifestano un’ambizione di significato storico.

Tutto questo ha aperto la possibilità di una nuova strada al processo di integrazione europea che è frutto di questa consapevolezza: nessuno si salva da solo. E io credo che la ritrovata solidarietà europea oggi, nel mondo che fa i conti con gli effetti drammatici della crisi, rappresenti concretamente un fattore di protagonismo, anche economico, decisivo nella definizione di nuovi assetti globali.

È importante che questa nuova strada che l’Europa ha aperto non si richiuda in una visione miope che consideri soltanto gli effetti più contingenti della crisi che stiamo attraversando, ma che al contrario guardi al futuro e a tutti gli aspetti della vita comunitaria dell’Unione.

Vi è una aspettativa ricca di fiducia: che si prosegua coraggiosamente nel rilanciare e costruire il tessuto comunitario dell’Unione, fuori da veti o da grette difese di corto respiro e ambizione.

L’ambito europeo, dunque, che la Repubblica italiana ha, orgogliosamente, contribuito a costruire, rappresenta l’orizzonte di cui condividiamo valori e la cornice entro la quale collocare la sapiente difesa degli interessi dei nostri concittadini.

E proprio il consenso dei cittadini di tutta Europa- anche il nostro Paese - è il motore delle democrazie: è necessario, quindi, rendere evidenti la profondità e il valore delle grandi alternative in gioco.

Adesso, in questo ambito, noi italiani siamo chiamati - istituzioni e società - a fare la nostra parte per utilizzare le grandi opportunità presentate. Nell’ambito di un programma, tempestivo, concreto ed efficace, di rilancio e di innovazione: per fronteggiare e recuperare le conseguenze profondamente negative della pandemia sul piano economico e sociale e per avviare e sviluppare un consistente processo di crescita del nostro Paese.

In questo è in gioco il futuro. Un futuro che richiede determinazione nel rafforzare anzitutto il capitale sociale del nostro Paese, a partire da quel formidabile strumento rappresentato da scuola, università e ricerca.

I nostri ragazzi hanno patito un anno scolastico che non ha potuto offrire loro appieno la formazione promessa.

Il virus ha inciso sul regolare svolgimento di lezioni ed esami.

Rinnovo qui il ringraziamento a quanti, docenti, personale, famiglie, imprese, hanno con il loro impegno, alleviato il disagio e la fatica dei nostri studenti.

Il sistema Italia non può permettersi, naturalmente, di dissipare altre energie, di rischiare di trascurare i talenti dei nostri ragazzi.

Lo sviluppo della nostra società soffrirebbe un danno incalcolabile se permettessimo al virus di prolungare i suoi effetti dannosi in questo ambito.

La riapertura regolare delle scuole costituisce obiettivo primario, da perseguire in un clima che auspico di collaborazione e di condivisione.

Le misure di salvaguardia sanitaria e di attrezzatura degli spazi destinabili ad attività educative e scolastiche – tenendo necessariamente conto della non uniformità nell’articolazione territoriale del nostro Paese - dovranno vedere l’Italia in condizione di raccogliere la sfida: dovrà essere fatto ogni sforzo in questa direzione da parte dei tanti protagonisti che – nelle istituzioni e nella società - hanno un ruolo da svolgere a questo riguardo.

Lo esige, vorrei ripeterlo, la possibilità delle giovani generazioni di avere e di contribuire a un avvenire migliore.

Ne fornisce testimonianza Giulia Carioti, autrice di questo bel Ventaglio, frutto di studio e di ispirazione artistica, a riprova del grande talento diffuso tra i nostri giovani.

Grazie e auguri di buon lavoro.