Torino 10/12/2019

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della visita al SERMIG – Servizio Missionari Giovani, nel 55° anniversario della fondazione

Ringrazio Ernesto che, per la forma, poc’anzi mi ha dato del ‘lei’, ma è un rispetto per le forme istituzionali. Grazie Ernesto.

Prima di entrare in questo salone, ho fatto un piccolo giro accompagnato da Ernesto per vedere le novità del SERMIG rispetto all’ultima volta in cui ero venuto. E traversando queste varie iniziative, riflettevo – è una cosa su cui tante volte si è fatta riflessione – sul fatto che questo è un arsenale. E l’arsenale è un luogo in cui si opera inizialmente per navi da guerra, poi è diventato anche per armamenti, in cui si lavora per costruire strumenti di guerra, navi o armi.

Il significato del SERMIG non è soltanto quello di aver trasformato, come sovente abbiamo detto in tanti, un luogo di guerra in un luogo di pace, ma è molto di più. Perché arsenale è un nome che evoca lavoro che si spiega per uno scopo, e qui si lavora per la pace. Perché la pace non è raggiunta una volta per tutte, non è soltanto - come tutti sappiamo bene - l’assenza di guerra. La pace va consolidata, sviluppata, difesa, va costantemente aggiornata e – ripeto – consolidata. E questo richiede lavoro, richiede opere di pace per consolidarla. Ed è ciò che qui avviene, che ho visto avvenire all’eremo, che ho visto avvenire a Madaba, in Giordania, che so che avviene in Brasile, a San Paolo. Ma questa opera attiva, questo impegno attivo, concreto, costante per la pace è quello che la garantisce e può difendere da tanti pericoli che emergono di continuo, particolarmente in questo periodo.

I cambiamenti che il mondo sta attraversando e affrontando creano disorientamento, provocano anche paure. E le paure generano chiusure e contrapposizioni pericolose. Le paure sono anche contagiose.

Ma anche la pace è contagiosa, anche la bontà è contagiosa. E metterla in pratica, chiamando altri a praticarla, moltiplicando e diffondendo questo impegno, è fortemente contagioso e importante.

Vorrei far riferimento ad alcune espressioni di Ernesto, sia di questa mattina che di altre occasioni. Ha detto, poc’anzi e sovente: ‘operare insieme: si tratta di far emergere la vita e la bontà che c’è dentro ciascuno di noi, dentro di noi, dentro ciascuna persona’. Ecco, questo è quello che avviene qui al SERMIG, che avviene in Giordania, in Brasile: quello di incontrarsi con le persone, di aprirsi all’incontro con gli altri, di far uscire, emergere quel che c’è di potenzialmente buono in tutti e di procedere insieme in quella direzione.

Questo è quello che è stato svolto e che si svolge qui, ed è questo il vero contributo alla pace, che spinge anche istituzioni, realtà politiche, realtà economiche.

Poc’anzi abbiamo ascoltato dagli accademici, in maniera tutt’altro che noiosa, ma lucida e interessante, un’esposizione dei risvolti di carattere economico-organizzativo del SERMIG. Risvolti non immaginati, forse non consapevoli del tutto, però significativi.

Qualche giorno fa, un altro economista di un’altra Università, il Rettore della Bocconi che ho ascoltato lì per l’Anno accademico che si inaugurava, ricordava che l’economia è nata come branca della filosofia morale, per sottolineare quel che sempre più emerge anche nel dibattito fra i grandi economisti del mondo: la stretta connessione tra economia ed etica.

Questo è un esempio di come, in realtà, si incrociano spontanei fatti economici collegati al volontariato, la spontanea dedizione di sé per solidarietà.

Questa è una realtà importante.

Non aggiungo altro, salutando tutti con molta cordialità - il Presidente della Regione, la Signora Sindaco, l’Arcivescovo - per sottolineare soltanto un’altra parola detta da Ernesto. Ha detto ‘grazie’. Ha detto ‘grazie’ rivolto a Maria e a coloro che hanno lavorato e lavorano qui al SERMIG.

Mi associo a questo ringraziamento, alla riconoscenza per Maria e per quanti, in questi 55 anni, hanno lavorato al SERMIG.

Ma vorrei dire, a nome di tutti, un grande ‘grazie’ a Ernesto. Quello che Ernesto e Maria hanno avviato qui, tanti anni fa, e che si è sviluppato con dimensioni di carattere economicamente rilevabili, imprevedibili allora, inimmaginabili, e che per tanta parte ancora, per me permangono inspiegabili, è non soltanto una grande opera in sé, ma è una semina che si diffonde in maniera importante, non soltanto per quello che è sorto in Giordania e in Brasile, ma per l’esempio che si diffonde e si trasmette nella nostra società, nel nostro Paese.

Per questo il grazie ad Ernesto è davvero molto grande.