Prima che il Magnifico Rettore proclami aperto l’anno accademico, desidero rivolgere a tutti un saluto molto cordiale, al Presidente della Regione, al Presidente della Provincia, al Sindaco e, con lui, a tutti i parmensi. Un saluto particolare agli altri Sindaci presenti, al Corpo accademico, al personale amministrativo e tecnico che opera in questo ateneo, alle studentesse e agli studenti, e ai Rettori di altri atenei presenti.
L’impressione che ho avuto entrando qui è che questa occasione rappresenti un’anticipazione di quello che fra poco più di un mese Parma vivrà, come capitale della cultura. E l’Ateneo è ovviamente punto nevralgico, centrale, di questa dimensione culturale della città. Lo è per il ruolo che svolgono tutte le Università nel nostro Paese; lo è per quello che abbiamo prima ascoltato, per la qualità e per i risultati di questa Università; per le valutazioni estremamente lusinghiere, di elevatissimo livello, che ha ricevuto questo Ateneo; ma lo è anche per quello che il Rettore poc’anzi, nella sua relazione, ci ha fatto comprendere, sottolineando i tre pilastri che contrassegnano l’impostazione di questo Ateneo: la centralità dello studente; tutelare, valorizzare e sviluppare il capitale umano; interagire con la città e la realtà in cui l’Ateneo è collocato, nella società e nella dimensione economico-sociale in cui è collocato.
Questa è, in realtà, un’indicazione che evoca e si collega a quel gioco di squadra che la dottoressa Ollà ha ricordato, parlando del contributo di tutte le componenti dell’Ateneo ai successi che consegue, ma che riguarda anche la concezione dell’ateneo nel collegamento con il territorio: la terza missione appunto che l’ateneo deve svolgere.
E vorrei collegare a questo anche uno dei richiami di grande interesse che lo studente Yuri Ferrari ha fatto poc’anzi, invitando in conclusione gli studenti a considerare l’ateneo non soltanto come luogo di studio - cosa fondamentale, ovviamente - ma come un luogo in cui si sviluppano e si esplicitano tutti i vari profili della complessità della persona e dell’impegno umano. Un luogo in cui si raccolgono i vari profili, le varie sfaccettature dell’impegno e della convivenza.
Vorrei anche sottolineare, in questo brevissimo saluto, il significato della scelta di porre al centro la fondamentale questione della sostenibilità dello sviluppo, d’altronde attestata da questo Ateneo con il rapporto sulla sostenibilità che ho appena ricevuto dal Magnifico Rettore.
Sostenibilità evoca quel complesso ampio di questioni e di nodi strategici che condizionano il futuro dell’umanità, e che poc’anzi il Professor Giovannini ha così lucidamente illustrato in maniera coinvolgente e persuasiva.
Questioni che riguardano, appunto, la realtà, il futuro dell’umanità.
Non avrei nulla da aggiungere a quanto detto dal Professor Giovannini, non saprei farlo neppure con l’efficacia con cui lui vi ha provveduto. Ma vorrei che fosse recepito il senso di futuro che ha proiettato con la sua prolusione.
Sottolineo soltanto l’importanza degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu e l’importanza dell’obiettivo che si è data la nuova Commissione dell’Unione europea, con l’intendimento dichiarato di fare dell’Unione Europea, per il 2050, una realtà neutra dal punto di vista ambientale, una realtà che non contribuisca più in alcuna misura, neanche minima, all’inquinamento del globo.
È un obiettivo impegnativo, non semplice, ma possibile. Ed è impegnativo, da sostenere in ogni modo.
Credo che le alternative che poc’anzi il Professor Giovannini ci ha presentato richiedano una riflessione.
Mi limito ai due punti alternativi che mi sembrano preminenti rispetto ai quattro che ha indicato: la retrotopia e l’utopia. Gli altri mi sembrano abbastanza di nicchia. Non il primo, quello di andare avanti così come si è – che è diffuso, ma è quello meno affascinante - ma quello di andare su un’astronave o in Nuova Zelanda mi pare abbastanza di nicchia.
Ma gli altri due sono invece i veri poli alternativi che abbiamo di fronte. Perché c’è una forte tentazione, di fronte alle novità, di tornare al passato. È come un capovolgimento della prospettiva che vi si è sempre stata.
Tutti ricorderanno lo splendido dialogo che Giacomo Leopardi pone tra un venditore di almanacchi e un passeggere. Il venditore di almanacchi asserisce, comprensibilmente, che ogni anno che verrà è migliore di quello che l’ha preceduto. E, con grande garbo e con grande raffinatezza, Leopardi in quel dialogo, in quello scritto, ci spiega che in realtà è il fascino del futuro che rende migliore l’attesa dell’anno a venire, degli anni a venire. Il fascino del futuro, il fascino di quello che l’umanità può fare di fare di stagione in stagione, contro la tentazione e la pretesa che i giovani siano ingabbiati nelle formule, negli strumenti e nelle soluzioni del passato, dei vecchi che li hanno preceduti.
Questa è un’indicazione di fondo che non può che far optare ovviamente per l’utopia, che è tutt’altro che uscire dalla realtà, è tutt’altro che una fuga dal reale. E, del resto, quando Tommaso Moro, cinque secoli addietro, scrisse ‘Utopia’ poi adottò comportamenti così concreti nella vita reale da sacrificare la propria vita a un obbligo morale. Perché in realtà, Professor Giovannini, tra utopia e dovere morale c’è una strettissima connessione.
Buon anno accademico!
Parma 29/11/2019