Desidero ringraziare il Magnifico Rettore per l’invito all’inaugurazione dell’anno accademico.
Rivolgo un saluto a tutti presenti, al Presidente della Regione, alla Sindaca e, attraverso di loro, alla città e alla regione.
Affiancherò a questo importante impegno accademico la visita di alcuni punti di particolare importanza di questa città, tra i tanti significativi che rendono Torino e il Piemonte protagonisti sul piano della cultura e sul piano sociale ed economico.
Un saluto alla Vicepresidente del Senato, al Corpo accademico, a tutte le sue componenti, ai docenti, ai ricercatori, strutturati o non strutturati: tutti partecipi della Universitas, del grande impegno culturale dell’Ateneo, e tutti destinatari di apprezzamento e riconoscenza e, naturalmente, meritevoli di sostegno da parte delle pubbliche istituzioni.
Un saluto particolare agli studenti, alla loro rappresentante, al personale amministrativo e tecnico, alla direttrice amministrativa.
Un saluto e un ringraziamento ancora una volta al Rettore per il suo intervento che ha indicato con grande nitidezza come questo ateneo, ricco di oltre seicento anni di storia, da seicento anni continua a elaborare e trasmettere cultura, mettendo insieme il patrimonio del passato, gli impegni del presente e la progettazione del futuro.
Vorrei ringraziare il Professor Noorda. Ho seguito attentamente la sua prolusione nel testo italiano che mi è stato consegnato: ciò mi ha consentito di coglierne tutte le sfumature, le nuances. Il professore ha fatto riferimento alla Magna Charta Universitatum e, sulla base di questa, ha rivolto un appello all’unitarietà del sapere e della cultura; ha ricordato le espressioni della Magna Charta di Bologna dell’88 che fa riferimento alla cultura, alla ricerca scientifica, alla tecnologia, evocando la formulazione dell’articolo 9 della nostra Costituzione che impegna la Repubblica a promuovere la cultura, la ricerca scientifica, la tecnica.
Qualche volta questa formulazione è stata interpretata da qualcuno, nel corso del tempo, come una sorta di indicazione di ambiti separati tra la cultura definita ‘umanistica’ e la cultura definita ‘scientifica’.
Non è così, in realtà. L’articolo 9 indica la cultura nel suo complesso e nella sua interezza, senza frammentazioni in comparti separati che non comunicano tra di loro, indica la cultura come patrimonio acquisito delle conoscenze e la ricerca come l’aspetto dinamico della cultura, quello che le consente aggiornamenti, approfondimenti, traguardi nuovi e prospettive per il futuro.
Vorrei sottolineare l’appello che il Professor Noorda ha fatto alla interdisciplinarietà perché mi ha colpito l’episodio degli studenti di Amsterdam che hanno sollevato una critica per la riduzione di alcuni docenti e per la ridotta esperienza e sensibilità interdisciplinare. Non mi sorprende che questo richiamo sia venuto da studenti della generazione Erasmus, che sono refrattari e insofferenti a qualunque confine sia geografico che culturale.
C’è una cosa che si aggiunge alla loro consapevolezza, oltre all’esigenza dell’interazione fra le varie branche disciplinari: la consapevolezza della crescente dimensione globale del mondo della cultura, di connessione e interdipendenza tra centri di studio e ricerca in ogni parte del mondo, distanti geograficamente, ma uniti e accomunati dall’esigenza di approfondimento, di studio, di traguardi, di ricerca.
Questa condizione che i giovani avvertono in maniera più intensa mi ha fatto venire in mente una cosa: il Professor Noorda ha parlato, all’inizio della prolusione, della sua predilezione per le opere di Italo Calvino. Nella prima delle lezioni americane dedicata alla leggerezza, che avrebbe dovuto tenere ad Harvard nell’85 ma la morte prematura glielo impedì, Calvino parla di entità sottilissime che reggono il mondo. La sua raffigurazione era di carattere assai più vasto, ma includeva anche i fenomeni informatici.
Non saprei trovare migliore definizione di quella che è oggi la stagione che attraversiamo e delle connessioni che reggono il mondo e lo tengono in stretta interconnessione attraverso la facilità di scambi che contrassegnano anche la cultura e il suo sviluppo.
Questa condizione, d’altronde, vede gli atenei come crocevia. E questo ateneo con i suoi oltre seicento accordi di collaborazione internazionale ne è una prova evidente, come tanti nostri atenei, come tanti atenei nel mondo.
Ma questa condizione dimostra, ancora una volta - per cogliere il senso di fondo della prolusione del Professor Noorda - come quella europea sia la dimensione della cultura di oggi.
Mi ha colpito, mi ha sorpreso, in maniera particolarmente ampia, l’episodio che ha riferito dell’anno passato di un Primo Ministro che ha detto agli studenti del suo Paese di non prestare attenzione ai valori ingannevoli europei. Vi sarebbero molte cose da dire al riguardo, ma è sufficiente dire – Professori - che se il suo e il mio Paese, insieme ad altri quattro, negli anni ‘50, hanno deciso di mettere insieme economia e risorse energetiche, dando avvio alla storica scelta di integrazione del continente, cui tanti paesi si sono fortunatamente associati, se lo hanno potuto fare è perché avvertivano il sottofondo, la base di comune cultura che vi è in Europa.
Del resto, già dopo l’anno mille i docenti degli atenei vagavano da Bologna alla Sorbona. E poco dopo l’anno mille, per molti secoli, l’Europa continentale è stata accomunata da un unico diritto, lo ius commune. Questa condizione è quella che autorizza legittimamente il trattato di fondo dell’Unione europea, in uno dei suoi articoli, a parlare del comune retaggio culturale e, in un altro articolo, a invitare l’Unione a promuovere la dimensione europea dell’istruzione.
Questa condizione è quella che lei ha richiamato e che vorrei riprendere anch’io con una sottolineatura, che lei mi induce a fare: l’Europa, fortunatamente, non è uniforme; contiene tante, diverse identità, tante tradizioni storiche differenti, tanti stili di vita e culture diversi, ma tutti accomunati da tratti di fondo, di civiltà e cultura. E, del resto, questa condizione vi è in ogni paese. Lei ha detto: ‘Siamo tutti un mosaico’.
Per parlare del nostro Paese basterebbe rileggere il primo coro dell’Adelchi che tra l’altro parla di vicende realizzatesi in queste terre.
Questa dimensione europea è quella che rende sempre più intenso lo scambio, la collaborazione e il comune impegno nei traguardi scientifici e culturali dei nostri atenei: è un grande merito.
Il Professor Noorda ha detto poc’anzi che le università hanno il compito di essere al servizio della società, e questo lo fanno in larga misura. Vi è una lunga tradizione delle università nel curare il bene collettivo, il bene comune. E questo lo fanno anzitutto assicurando la libertà e l’autonomia dell’insegnamento.
Non vi è libertà piena in un Paese se non vi è libertà di cercare di ottenere più conoscenza e nuovi traguardi della conoscenza. Non vi è libertà piena per nessuno se non vi è una piena libertà di acquisire conoscenze. Questo è anzitutto il ruolo delle università, e questo è un ruolo per il quale ringrazio questo ateneo, come i nostri atenei di tutta Italia e li ringrazio per il perseguimento del pubblico interesse e del bene comune nel nostro Paese.
Le sue, Professor Noorda, non sono state soltanto indicazioni di buone intenzioni, ma esortazioni significative che vanno raccolte. E i nostri atenei, con la loro attività, mostrano di saperle raccogliere.
Auguri, buon anno accademico!