Rovigo - Teatro Sociale 09/10/2003

Intervento del Presidente della Repubblica in occasione dell'incontro istituzionale con le autorità di Rovigo


VISITA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
A ROVIGO

INCONTRO ISTITUZIONALE CON LE AUTORITA'

Rovigo - Teatro Sociale, 9 ottobre 2003



Signor Presidente del Consiglio regionale del Veneto,
Signor Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Rovigo,
Signor Sindaco di Rovigo,
Onorevoli Parlamentari,
Autorità civili, militari e religiose,
Cari Sindaci della Provincia di Rovigo,

vi ringrazio delle parole cortesi che mi avete rivolto, e della calorosa accoglienza della popolazione di Rovigo. Nell'arco di due giorni sono passato dal Veneto di montagna al Veneto di pianura, dalle Dolomiti svettanti su Belluno alle acque dei due grandi fiumi e del mare che segnano i confini del territorio rodigino, incuneato tra cinque province, dagli illustri capoluoghi: Venezia, Padova, Verona, Mantova e Ferrara. Dicono che la tranquilla dolcezza della vita in Rovigo, da tutti lodata, sia il frutto, oltre che del carattere degli abitanti, di quel relativo isolamento a cui l'hanno costretta i suoi acquei confini: sola provincia d'Italia la cui superficie si sia, peraltro, nei secoli ingrandita, e continui a ingrandirsi, per l'avanzata della terraferma, arricchita dai depositi che Po e Adige trasportano giù dalle montagne, nel mare Adriatico. Il tempo purtroppo non mi consentirà di visitare l'antica città che gli ha dato il nome, Adria, già emporio portuale e centro di traffici etruschi e greci.

La storia ha i suoi corsi e ricorsi: l'apertura di quello che oggi si chiama l'interporto di Rovigo, insolito punto d'incrocio di ferro, gomma e acqua, apre nuove prospettive di sviluppo a questa terra, assicurando, con l'idrovia che va da Mantova all'Adriatico, un intreccio di rapidi collegamenti fra il Nord e il Sud, fra il mare - e attraverso il mare il mondo - e il ricco e industrioso retroterra padano. Ciò arricchisce l'attrattiva esercitata sui territori confinanti da una provincia ricca di spazi attrezzati, importanti ai fini dell'espansione di quel Nord Est fervido di industrie che ha fatto, nel volgere di pochi anni, di questo Veneto agricolo, e dignitosamente povero, una delle avanguardie della nuova Europa del benessere. L'acqua è un tema guida di questo mio viaggio: l'acqua alimento essenziale per ogni essere vivente, l'acqua portatrice di ricchezza - è ben noto quanto io sia convinto dell'importanza di sviluppare le autostrade del mare, e le autostrade fluviali - ; ma anche l'acqua che minaccia con la sua forza incontenibile la sopravvivenza stessa degli uomini. Ho trascorso la mattinata a Longarone, recando testimonianza della memoria che l'Italia conserva, dopo quarant'anni, della tragedia del Vajont, ai figli e nipoti di coloro - 2000 nostri concittadini - che in un solo attimo persero la vita, e ogni loro bene, in un disastro che non sarebbe mai dovuto accadere, che si sarebbe dovuto e potuto evitare. Dà fiducia nella virtù della nostra gente trovare oggi Longarone ricostruita e ricca di attività produttive.

Qui, sovrasta su ogni momento della mia visita il ricordo, vivido come fosse ieri in un uomo della mia età, della grande alluvione del 14 novembre 1951. Sarò domani mattina nel Delta del Po, che ho visitato una ventina d'anni fa, richiamato in quei luoghi anche dal desiderio di rivedere paesaggi di singolare bellezza, che non a caso attraggono ogni anno un flusso crescente di turisti.

Preparandomi a questo nostro incontro, e riflettendo sulla storia di questa provincia, oggi impegnata in uno slancio di rinnovamento e sviluppo economico che ha dato risultati insperati - come voi stessi giustamente mi avete ricordato - non ho potuto non sostare sui dati che documentano le dimensioni immani del disastro di 52 anni fa. A parte i danni materiali incalcolabili, e la perdita di vite umane, l'alluvione del Polesine non soltanto provocò l'evacuazione immediata di 200 mila persone, ma ridusse di un terzo la popolazione di questa provincia, abbandonata in via definitiva da più di centomila abitanti.

Nella storia della nostra emigrazione, nessun'altro territorio ebbe a soffrire a tal punto da una così massiccia diminuzione della forza lavoro: anche perché, come era ovvio, se ne andarono i più giovani e forti, che contribuirono non poco, con le loro braccia e il loro ingegno, alla crescita straordinaria di quello che allora si chiamava il "triangolo industriale". Eventi lontani nel tempo, che hanno però lasciato una lunga traccia nella storia della provincia. Le vostre scelte di questi ultimi anni vi hanno spinto a intensificare gli sforzi per accelerare la crescita della industrializzazione e un più vasto processo di sviluppo delle vie di comunicazione, dei servizi e del turismo. Avete così già più che dimezzato un tasso di disoccupazione oramai prossimo a raggiungere, anche qui, livelli tranquillizzanti, vicini a quelli eccellenti della intera Regione. Ho anche preso atto, con particolare interesse, dell'accelerazione del vostro polo universitario, con la collaborazione di due insigni università vicine, Padova e Ferrara. Ho già scoperto altrove, nei miei viaggi in Italia, che anche le più grandi università non sono affatto insensibili all'attrattiva di trovare in territori a loro vicini spazi per la loro espansione e, al tempo stesso risorse, con la creazione di nuovi centri di formazione specializzata e di ricerca che si radicano nelle realtà locali.

L'obiettivo comune è la formazione dei nostri giovani, lo sviluppo.

Nella mia recente visita a Bruxelles, nel corso di incontri e scambi di vedute con la Commissione Europea e con il Parlamento Europeo, si è a lungo parlato, oltre che delle grandi attese e speranze che accompagnano questa fase cruciale nella storia dell'unificazione politica europea, dei problemi di un'Europa che vuole uscire da una fase di relativo ristagno dello sviluppo. Questo tema domina le menti di tutti gli Europei, impegna le autorità dell'Unione e tutti i governi nazionali.

E' a tutti evidente la necessità di sviluppare con opportuni investimenti una rete di infrastrutture di dimensioni continentali, e di investire di più nella ricerca avanzata e in quella applicata. Ma un problema complesso come è il rallentamento della crescita richiede necessariamente risposte complesse, in un quadro di buon governo che, per quel che riguarda l'Europa, si identifica con l'adozione di nuove istituzioni di governo europeo, e di una Costituzione.

Ciò che vale per l'Europa, vale, nelle dimensioni nazionali o regionali, anche per l'Italia. Anche il nostro Paese rischia di perdere, e sta perdendo, punti di competitività. Anche noi vogliamo metterci in condizione di cogliere le opportunità offerte dalla nascita di un mercato globale, e non subire passivamente le conseguenze di una concorrenza anch'essa globale. Che fare dunque? L'arma vincente, per un Paese come il nostro, la cui principale risorsa naturale non è certo costituita dalla abbondanza di materie prime, ma dall'immenso patrimonio di bellezze naturali ed artistiche e dalla grande eredità di civiltà e di cultura (qui a Rovigo ne dà insigne testimonianza l'antica Accademia dei Concordi), è lo sviluppo di quella fondamentale risorsa che è l'ingegno umano. Per far crescere questo, come ogni altro fattore dello sviluppo, bisogna però investire, e investire bene. La terra dà frutti soltanto quando è ben coltivata, le piante crescono rigogliose dove sono ben nutrite. A tal fine, il primo problema che ci si propone è quello di accrescere gli sforzi, l'impegno, e la lungimiranza di tutti quei centri decisionali che dispongono di risorse da investire nell'istruzione e nella formazione.

Questo vuol dire, sicuramente, lo Stato centrale, che conserva compiti di grande, determinante importanza. Ma vuol dire anche e sempre più gli ordini di governo regionali, provinciali, comunali.

Vuol dire, infine, l'imprenditoria privata, e le istituzioni - banche, fondazioni, Camere di Commercio, Associazioni Industriali - che la rappresentano; mossi tutti, come è giusto, dalla severa logica del profitto non tanto nell'immediato quanto in una più lunga prospettiva, e, in ogni caso, dall'uso più efficiente delle risorse loro affidate. Occorre soprattutto creare le basi di un nuovo progresso, attraverso lo sviluppo degli istituti che hanno il compito della educazione dei giovani, a tutti i livelli.

Le Amministrazioni pubbliche, e le organizzazioni private, le cui iniziative sono rilevanti ai fini dello sviluppo, debbono dimostrarsi capaci di lavorare insieme in tutti i campi, se vogliono raggiungere gli obiettivi identificati come prioritari, e da tutti condivisi. Questi sono, in parte, gli stessi ovunque; in parte, debbono rispondere alle esigenze specifiche di ciascun territorio.

La diffusione di una cultura dello sviluppo, di una mentalità produttiva, è in ogni caso la premessa del successo. Per una fase di slancio produttivo come questa che voi state vivendo, non bastano solamente i capitali. I capitali, credetemi, me lo dice una lunga esperienza, si trovano sempre, quando ci sono le idee. Sono le idee che accendono la scintilla del progresso. Capita talvolta di sentirsi dire, da parte degli imprenditori, che hanno bisogno di piani e indicazioni da parte delle autorità. Questa richiesta è in parte giustificata. Ma è altrettanto, se non ancor più necessaria, la presentazione alle autorità di proposte, di progetti, e tocca all'imprenditoria di inventarli, di elaborarli. Non c'è mai, in nessun luogo, un deus ex machina che, da solo, trovi le soluzioni per tutti i problemi. Ricordiamolo: i compiti di proposta spettano soprattutto alla società civile, all'imprenditoria libera. Alle autorità tocca intervenire per mettere ordine, e soprattutto è loro compito elevare il livello qualitativo degli strumenti amministrativi, definire un quadro chiaro e semplice delle regole da rispettare, creare le infrastrutture materiali e immateriali necessarie alla crescita delle iniziative imprenditoriali, vecchie e nuove. Occorre insomma - non mi stanco di ripeterlo - un'alleanza di sistema, una regia a più voci, che coinvolga pubblico e privato, capitale d'impresa e lavoro.

Usate insieme tutte le energie che ci sono sul vostro territorio, convergendo, con la vostra opera, verso obiettivi di progresso che tutti condividete. Il cambiamento nasce dalla pratica del consenso, nasce dal dialogo, non dalla provocazione e dallo scontro. Mi sono stati riferiti giudizi diversi sul momento della vostra storia economica che state vivendo. Qualcuno mi ha parlato di Rovigo come del "Meridione del Nord". Benissimo: sono tante, molto più numerose di quanto in genere si sappia, le zone del Meridione oggi impegnate in un processo intenso di sviluppo produttivo che per diversi aspetti può ricordare la vostra condizione. E comunque, come "Meridione del Nord", siete in una posizione singolarmente privilegiata: il territorio rodigino è collocato nel bel mezzo di zone tra le più avanzate nella scala del benessere non soltanto in Italia ma in Europa, ed è in grado di offrire ai vicini risorse importanti, a cominciare dalla disponibilità stessa di spazio, che altrove comincia a scarseggiare. La vostra separatezza del passato, territoriale e di mentalità, che vi veniva quasi imposta dai grandi fiumi che delimitano la provincia rodigina, deve e può lasciare il posto all'acquisizione di una nuova funzione di ponte tra l'uno e l'altro dei territori con voi confinanti.

Posso sbagliare: ma proprio l'interporto, di cui ho detto all'inizio, può essere il fulcro del Vostro sviluppo futuro.

Altri, mettendo forse a confronto, non tanto Rovigo con le province vicine (confronto inevitabilmente scomodo, se lo si fa con province che sono ai vertici del benessere, come quelle di Padova e di Verona), ma la Rovigo di oggi con quella di un passato recente, giunge invece alla conclusione che sono già stati fatti grandi progressi, che altri se ne stanno facendo e se ne faranno sicuramente, e che insomma la vostra provincia può già dirsi inserita nell'atmosfera di sviluppo di tutto il Nord Est. Qualcun altro, infine, ed è un giudizio che mi piace particolarmente citare, che mi pare ispirato al buon senso, dice che "chi parte basso, si vede di più quando cresce". Abbiamo già detto quanto gravi fossero state le conseguenze di quell'esodo di massa che la grande alluvione aveva provocato. Certi processi hanno, inevitabilmente, ritmi generazionali. Oggi la vostra ripresa, in termini di ritmi di crescita della produzione e dell'occupazione, e grazie anche a livelli di scolarizzazione particolarmente alti, è senza dubbio in atto.

Concludo dicendovi: continuate ad avere fiducia nelle vostre forze. Arricchite la vostra serenità con la vostra operosità. I risultati stessi che avete già raggiunto sono un motivo validissimo di confidare nella vostre capacità di raggiungere nuovi traguardi.

Vi auguro buon lavoro, e l'auspicio di ulteriori progressi.

Avendo nel cuore i destini del nostro Paese, e della realtà europea di cui siamo parte, e che sta vivendo, sotto la presidenza italiana dell'Unione Europea, una fase cruciale, mi piace concludere dicendo: viva l'Italia. Viva l'Europa.