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24-10-2003
Intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi alla cerimonia di consegna delle insegne di Cavaliere dell'Ordine al Merito del Lavoro ai Cavalieri del Lavoro nominati il 2 giugno 2003
INTERVENTO DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
ALLA CONSEGNA DELLE INSEGNE DI
CAVALIERE DELL'ORDINE
AL "MERITO DEL LAVORO" AI
CAVALIERI DEL LAVORO NOMINATI IL 2 GIUGNO 2003
Palazzo del Quirinale, 24 ottobre 2003
Signor Presidente del Consiglio,
Signor Vice Presidente del Senato,
Signor Vice Presidente della Camera,
Signor Giudice della Corte Costituzionale,
Signori Ministri,
Autorità civili e militari,
Cari Cavalieri del Lavoro,
Signore e Signori,
come è tradizione, il mio augurio per l'altissima onorificenza della Repubblica
che avete meritato - con il vostro lavoro, con il vostro impegno etico e
sociale, con l'operare delle vostre imprese - è l'occasione per una riflessione
sull'andamento di fondo della nostra economia.
Quest'anno sento di farlo traendo con Voi ispirazione da un Maestro che ci ha
lasciato pochi giorni fa, un economista che per decenni ha spronato l'Italia
sulla strada dello sviluppo, delle riforme, e al quale molti di noi abbiamo
voluto bene: Franco Modigliani.
Il suo pungolo, la sua fantasia, il suo incitamento giovanile, l'intenso amore
per la sua Patria di origine, ci mancheranno.
Franco Modigliani è rimasto fino all'ultimo scevro di ogni ideologia, un uomo
libero, in economia un convinto keynesiano.
L'Europa deve molto alla lezione keynesiana. Deve a quell'insegnamento i
princìpi della ricostruzione dopo la guerra, il miracolo della crescita
straordinaria degli anni Cinquanta e Sessanta.
L'Europa dell'euro non può dimenticare l'insegnamento di Keynes e di
Modigliani.
Con l'euro, momento istituzionale decisivo per l'avanzamento dell'integrazione
europea, l'Europa ha raggiunto la stabilità monetaria. Modigliani lo ha
fortemente sostenuto.
Sapeva che avrebbe risparmiato quelle violente crisi finanziarie e valutarie
che, spesso intrecciandosi, aggredivano le nostre monete, provocando effetti
gravosi sull'economia reale. Non dimentichiamo che il progressivo indebolimento,
causato da quelle ripetute crisi, ci portò nel 1992 sull'orlo dell'abisso.
Intere aree del mondo - pensiamo in particolare all'Argentina - hanno pagato e
stanno pagando con anni di sacrifici la mancanza del bene prezioso che è la
stabilità monetaria.
Con l'euro abbiamo messo al riparo il valore dei nostri risparmi.
Oggi percepiamo poco questi benefici perché l'efficace difesa da un rischio che
non si è realizzato è meno avvertita dei disagi che, con il cambio della
moneta, alcuni paesi, più degli altri, hanno sofferto sul fronte dei prezzi. In
Italia lo "scalino" è stato percepito di più, perché il
passaggio a un sistema dotato di moneta forte ha prodotto una lunga e complessa
fase di assestamento, anche psicologico: da generazioni era scomparsa,
fisicamente, l'unità monetaria di base, la lira. Possono aver giocato residui
di inflazione repressa in alcuni settori economici: il momento del cambio può
aver fornito l'occasione di ricupero; forse è stata lenta la reazione dei
meccanismi e delle regole del mercato.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la stabilità della moneta non è
sufficiente al benessere di una comunità se poi non si crea sviluppo, se non si
aumenta il reddito nazionale e pro-capite. La stessa stabilità, per
consolidarsi, ha bisogno di crescita. Stabilità e crescita formano un binomio:
l'una si alimenta dell'altra.
Keynes e Modigliani ci insegnano che per avere sviluppo bisogna sostenere la
domanda aggregata, e che essa è, in prima istanza, sensibile al tasso
d'interesse. La politica monetaria, oggi saldamente in mano alla Banca Centrale
Europea, può aiutare, e molto. Ma alla politica monetaria unica deve
accompagnarsi un maggiore coordinamento della politica economica dei Paese del
gruppo euro.
La politica di bilancio, in condizioni di equilibrio della finanza pubblica,
può sostenere lo sviluppo. E qui la strada è chiaramente tracciata: le grandi
infrastrutture di rete, materiali e immateriali, che meglio interconnettono le
aree diverse dell'Europa, la ricerca, sostenuta dalle imprese, dalle
università, dalla pubblica Amministrazione, hanno priorità assoluta.
Non dimentichiamo, anche, che la domanda aggregata è fortemente influenzata
dalle dinamiche demografiche.
E' nell'interesse generale operare perché si torni a tassi positivi di crescita
demografica, dovuti non solo all'allungamento della durata della vita, ma anche
all'aumento delle nascite.
Per questo, dobbiamo salutare con gioia dati come quelli diffusi di recente
dall'Istituto Centrale di Statistica che ha segnalato un significativo aumento
di nuovi nati.
Così come è necessario sapere sempre meglio integrare nel sistema nazionale i
lavoratori immigrati, richiesti in molte aree del Paese da nostre imprese,
agricole e industriali.
L'Italia ha bisogno, in questa fase della sua vita economica, di rilanciare il
mercato interno.
È normale che il mercato interno, quando richiede una quantità maggiore di
beni di consumo e di investimento, si avvalga anche delle opportunità offerte
dalle importazioni. Sta alle nostre imprese intercettare al massimo la domanda
interna. Oggi esse devono applicarsi a riconquistare le quote di domanda che
hanno perduto sul mercato interno come su quelli esteri.
Come sempre, l'intreccio di fenomeni congiunturali e fenomeni strutturali è
stretto.
Nel commercio internazionale, l'Italia, da anni, ha perduto terreno non solo nei
confronti di concorrenti lontani - favoriti dal basso costo del lavoro - ma
anche verso concorrenti vicini, come Francia, Spagna, Germania.
Le ragioni di lungo periodo sono in parte nella composizione merceologica delle
nostre esportazioni, ma soprattutto nel basso livello di investimenti in ricerca
sia per nuovi prodotti e nuovi metodi di produzione, sia e ancor più per la
ricerca di base.
Ogni iniziativa - perché no, della Federazione dei Cavalieri del Lavoro - che
stimoli questa collaborazione, che produca analisi e progetti per rilanciare la
ricerca in Italia è importante, ad essa va il mio sostegno pieno.
L'Italia ricupererà quote di mercato, se saprà avere uno scatto di orgoglio,
se tutto il sistema - imprese, lavoratori, banche, amministrazione dello Stato -
mirerà unito verso l'obiettivo della crescita. Per questo serve coesione,
capacità di dialogo, sentimento di vivere un comune destino.
E' forse necessaria anche una riflessione sulla natura stessa di quello che
chiamiamo il "made in Italy".
Non credo sia venuto meno, nel mondo, il bisogno d'Italia, il desiderio di
condividere i nostri modelli di vita, di gusto, di eleganza, di antica saggezza.
Certo il quadro in cui operiamo si è arricchito di nuovi soggetti, di nuovi
concorrenti, come di nuovi mercati in costante crescita. Ma proprio per questo
dobbiamo fare sistema.
L'Italia ha saputo nei secoli - fin dal Medioevo - utilizzare a proprio
vantaggio l'apertura dei commerci internazionali. Non dobbiamo vagheggiare
impossibili ripristini delle barriere. Dobbiamo invece attrezzarci meglio, molto
meglio, per difendere, con tutti i mezzi leciti, i marchi di denominazione
d'origine, i brevetti, il lavoro della nostra creatività, di caratterizzarlo e
di qualificarlo sempre di più come italiano, di renderlo sempre più
inconfondibile.
Nell'epoca dell'euro, dobbiamo anche ripensare il nostro modo di operare.
Abituarci a competere avendo una moneta forte non è certo impossibile, anzi
offre punti di riferimento più certi e solidi, ma impone strategie e
comportamenti nuovi. Consente alle nostre imprese di acquistare, a minor prezzo,
non solo materie di base e beni necessari per produrre, ma anche di inserirsi,
con appropriati investimenti di capitale, nei sistemi produttivi dei Paesi
industriali.
L'attenzione per l'economia reale non deve far venir meno la necessità di
mantenere sotto controllo la finanza pubblica. Sappiamo di dover continuare ad
avere un elevato avanzo primario per riassorbire e rendere gradualmente meno
gravoso il peso del debito pubblico; esso, pur ridotto, in termini di prodotto
interno lordo, rispetto ai massimi di metà anni '90, incombe ancora sulla
stabilità e sullo sviluppo di lungo periodo.
Concludo: ancora una volta vi saluto con un augurio di buon lavoro e una
certezza: ce la possiamo fare, con un po' di slancio, di orgoglio, di senso di
appartenenza a una comunità che sa e può fare sistema, di fiducia nelle nostre
capacità. E Voi, con la Vostra vita, con il Vostro successo ne siete testimoni.