VISITA DEL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI
IN SICILIA
INCONTRO ISTITUZIONALE CON LE AUTORITA'
Agrigento - Teatro Comunale "Luigi Pirandello", 11 febbraio 2003
Signor Presidente della Regione,
Signor Presidente della Provincia Regionale di Agrigento,
Signor Sindaco di Agrigento,
Onorevoli Parlamentari,
Eccellenza,
Autorità civili, militari e religiose,
Cari Sindaci della Provincia di Agrigento.
sono felice di ritrovarmi ad Agrigento. E' ben presente alla mia mente,
soprattutto in quest'anno 2003, che si annuncia cruciale per la storia
dell'unificazione dell'Europa, la mia visita precedente in qualità di
Presidente della Repubblica; quando, insieme con il Presidente della Repubblica
Federale Tedesca Johannes Rau, firmammo, l'8 giugno del 2000, quella che è
stata poi ricordata come la "Dichiarazione di Agrigento".
Ci ispirava il comune amore e impegno per la realizzazione del progetto - un
tempo era solo un sogno, ora è una realtà - di un'Europa sempre più unita, e
sempre più grande e autorevole. Ci ispirava anche la passeggiata che facemmo
insieme nella valle dei Templi, testimonianza incancellabile della centralità
della Sicilia nella storia della civiltà europea, fin da quei secoli lontani
che videro sorgere dalla roccia i vostri templi. In Sicilia Archimede calcolò
per primo il diametro del Sole; in Sicilia, passeggiando nella valle dei Templi,
Empedocle ragionò di filosofia e di medicina; e in Sicilia, non in Normandia,
sorge il più grande e nobile Palazzo dei Normanni.
Tanta gloria degli antichi, tanta storia, sono motivi d'ispirazione per noi moderni. Ci propongono anche un difficile confronto. Il passato va visto e vissuto come un patrimonio, e come una sfida. Del futuro, la responsabilità è tutta nostra. Ho colto, nelle vostre parole, proponimenti che si ispirano a sentimenti come questi che ho appena espresso.
In Sicilia sono già stato, in qualità di Presidente della Repubblica, più d'una volta: a Palermo ripetutamente, a Catania, a Messina: ivi commemorammo i cent'anni dalla nascita di Gaetano Martino, uno dei padri dell'Europa, il cui nome onora la Sicilia e l'Italia.
La mia mente ritorna anche a quella che era stata la mia ultima visita in
Sicilia prima dell'elezione alla Presidenza, quando partecipai, in qualità di
Ministro del Tesoro, a un convegno che promossi a Catania nel dicembre del 1998,
intitolato: "Cento idee per lo sviluppo: un cantiere che si apre".
Espressi nella mia relazione il convincimento che bisognava "partire
dalle idee per promuovere una cultura del fare". La riunione di lavoro
che si è tenuta nei giorni scorsi ad Agrigento si ispira a questi stessi
principi e mira alla loro attuazione.
Questa volta ho voluto iniziare il mio viaggio da una visita a Stromboli, e di
nuovo a Catania, per portare la solidarietà mia e di tutti gli Italiani alle
popolazioni impegnate in opere di ricostruzione nelle terre colpite dalla
violenza di quei vulcani. Da questi incontri ho tratto motivi di fiducia sul
futuro di quei luoghi bellissimi, che già ben conoscevo. Poi, a Palermo, ho
assistito all'inaugurazione dell'anno accademico di quell'università, che è
anche una università madre del vostro polo universitario; e ho avuto modo di
incontrare i rappresentanti dei lavoratori di Termini Imerese, da cui ho
ascoltato parole di forte impegno per la salvaguardia e lo sviluppo della loro
fabbrica. La loro voce non è caduta nel vuoto e continuerà ad essere un punto
di riferimento per tutti.
Ricordo questi precedenti perché voglio sottolineare il filo di un dialogo
continuo che ho mantenuto e manterrò con la vostra terra. In questo viaggio ho
voluto anzitutto un contatto diretto con le ultime emergenze, naturali o
economiche, che hanno colpito la Sicilia. Ho poi voluto richiamare tutti ancora
una volta a quello che a me appare come un fattore chiave per il vostro futuro:
l'università, e più in generale la formazione delle nuove generazioni, che
vogliamo consapevoli del fatto che dalla loro preparazione civile e culturale
dipenderà il futuro della Sicilia.
I ricordi siciliani si affollano nella mia mente. A Palermo, nel gennaio del
2000, avevo dedicato le prime ore della mia visita a un omaggio alle vittime
della mafia, e partecipato alla commemorazione di Piersanti Mattarella; visitai
poi, al quartiere Brancaccio, la scuola intitolata a Padre Pino Puglisi. Non
furono scelte occasionali.
Dissi allora: "Penso, e l'Italia tutta pensa con me, che il lucido sacrificio di tanti eminenti siciliani, politici, magistrati, agenti dell'ordine, sacerdoti, sindacalisti, imprenditori, abbia acceso la grande fiamma di una nuova consapevolezza, che ha coinvolto l'intera isola. Da questa rinnovata coscienza civile, da cui i giovani appaiono particolarmente animati, oltre che da una più intensa azione dello Stato, è scaturito un impegno operativo senza precedenti che sta dando risultati cospicui".
Anche alla luce di alcuni recenti significativi successi nella lotta alla
mafia, mi sento di ripetere queste parole con convinzione. Nel pronunziarle, si
affaccia alla mia memoria, come sicuramente alla vostra, la figura esemplare di
Rosario Livatino.
Rinnovo il mio omaggio alle Forze dell'Ordine e alla Magistratura, che
combattono la mafia con un impegno che scaturisce dall'amore per la Sicilia,
oltre che dalla dedizione al dovere. Il loro successo dipende anche dalla
fiducia che i cittadini hanno in loro, e dallo spirito di collaborazione che
deve derivarne.
Questa fiducia, premessa di un ordinato vivere insieme, è legata anche alla capacità operativa e ai mezzi messi a disposizione degli organi preposti al mantenimento dell'ordine pubblico e di chi amministra la giustizia nel nome del popolo, essendo soggetto soltanto alla legge, che è chiamato a interpretare e ad applicare.
E' dalla Costituzione - come ricorda il documento approvato il 6 febbraio, all'unanimità, dal Consiglio Superiore della Magistratura - che la Magistratura stessa, come tutte le istituzioni di garanzia, trae originaria legittimazione. Autonomia e indipendenza della Magistratura sono condizioni essenziali ed irrinunciabili dell'esercizio imparziale delle funzioni ad essa affidate. La giustizia è il valore fondante di ogni società democratica.
ll mantenimento dell'ordine e della legge, e quindi la lotta alla mafia, sono premessa necessaria per una politica di sviluppo civile ed economico. Ma il circolo si chiude solo affermando che, a sua volta, una politica di sviluppo è premessa strutturale, indispensabile, dell'obiettivo che ci proponiamo, che è la sconfitta della mafia. Questa prospera nel sottosviluppo, vive del sottosviluppo.
Chi, nelle singole città siciliane, o a Palermo nelle sedi del governo regionale, o a Roma nei luoghi di governo deputati a favorire in generale la crescita del Mezzogiorno, è impegnato a crearne le condizioni infrastrutturali, strutturali, culturali, così facendo combatte la mafia; bonifica il terreno in cui essa alligna.
Così come la combattono, in prima linea, coloro - insegnanti, sacerdoti, uomini e donne impegnati nel volontariato - che si dedicano all'opera di educazione dei giovani, nella scuola e nella società.
Voglio affermare con forza un principio che vale non solo per la Sicilia, ma
per tutti. Non esiste il destino. Nessuno è schiavo del passato Ne ho
continuamente conferma nei miei viaggi in Italia.
Non era un destino, anche se sembrava esserlo, la povertà delle campagne del
Triveneto, divenute in due o tre decenni regioni tra le più ricche d'Europa.
Non era un destino l'arretratezza di aree del Mezzogiorno, oggi impegnate in
importanti processi di sviluppo.
E' bensì vero che ci sono circostanze che frenano e altre che aiutano a
liberarsi del proprio apparente destino. Oggi giuocano a vostro favore fattori
importanti. L'essere inseriti in una vasta area di pace e di benessere, che ha
nome Unione Europea, è forse fra tutti il più importante. Lo è anche il fatto
che l'Italia d'oggi, uno dei Paesi più avanzati del mondo, dispone di mezzi che
un tempo non aveva. Un altro ancora è la nuova centralità del Mediterraneo.
Da estrema periferia dell'Europa voi siete di nuovo, come già siete stati nella
vostra storia, un naturale luogo d'incontro di civiltà. Siete al centro di un
grande incrocio di traffici che stanno intensificandosi davanti alle vostre
coste - e ai vostri porti, bisognosi di urgenti opere di ammodernamento - lungo
un percorso che va dall'Estremo Oriente al Nord d'Europa, e da una sponda
all'altra del Mediterraneo.
Nel lanciare lo sguardo verso questi orizzonti, l'animo di noi tutti è turbato
per la grave crisi che coinvolge aree a noi vicine del Medio Oriente. Non ci
abbandona la speranza che le Nazioni Unite, istituzione base dell'ordine
internazionale, riescano a creare le condizioni per salvaguardare insieme la
pace e la sicurezza e per ottenere l'eliminazione di tutte le armi di sterminio
dall'Iraq. Mi auguro che l'Unione Europea sappia esercitare una sua azione
positiva lungo i due binari tradizionali: la coesione europea e l'alleanza
atlantica.
Pochi giorni fa ero in Algeria, e la visita ha contribuito a rendermi particolarmente consapevole di due cose. Primo: il terrorismo fondamentalista è nemico di tutti; nemico dell'Algeria, un paese arabo e musulmano, dove si è reso responsabile di innumerevoli stragi, prima ancora di essere nemico dell'Occidente e del mondo intero.
Secondo: mi ha colpito la vicinanza fra noi e loro. Il Mediterraneo più che come un mare va visto come un lago, alle cui sponde ci affacciamo noi e loro. E dalla crescita di un sistema di rapporti economici, culturali e politici intenso, fecondo, costruttivo, dipende il nostro come il loro futuro. Lo sviluppo delle regioni della costa meridionale del Mediterraneo, anche con la nostra partecipazione, è la premessa necessaria per ridurre e per porre fine al doloroso traffico di uomini, donne e bambini, in cerca di un benessere che oggi è loro negato nelle terre d'origine.
Ma voi avete ragione nell'affermare che per fare di questa provincia, estremo lembo di Europa, il punto di partenza di un ponte lanciato verso il Sud del Mediterraneo e verso l'Asia, bisogna completare infrastrutture viarie, ferroviarie, aeree, che colleghino, secondo i tempi veloci dell'età moderna, le varie aree della Sicilia tra loro, e la Sicilia con l'Italia e l'Europa.
L'impegno di tutti, a tutti i livelli di responsabilità amministrativa, dai Comuni, alle Province, alla Regione, al governo centrale, deve essere strenuo, instancabile, deve saper passare dalla fase delle intenzioni a quella delle realizzazioni. In democrazia, la politica deve avere un'anima, deve essere concepita come un servizio, e come un impegno di lavoro. Raccomando qui, come sempre altrove: non fate sogni, fate progetti.
Definiteli, e poi battetevi per trovare, qui o altrove, le risorse necessarie per aiutarvi a realizzarli. Una lunga esperienza mi dice che se i progetti ci sono, le risorse finiscono sempre per trovarsi. E datevi delle scadenze, dei punti d'arrivo per la realizzazione delle opere necessarie per il vostro sviluppo, sottoponendo costantemente i lavori in corso a un attento monitoraggio. Assicuratevi che i tempi siano rispettati, e che i progetti non s'impantanino in quelli che vengono definiti contenziosi e altri farraginosi impedimenti. Cancellate queste parole dal vostro vocabolario amministrativo e politico.
Voi stessi avete indicato le vie maestre del vostro sviluppo: la costruzione
di infrastrutture e vie di comunicazione che cancellino la vostra marginalità
geografica, e consentano lo sfruttamento pieno di quegli straordinari beni
culturali che il mondo vi invidia; l'investimento nella formazione dei giovani,
di cui la nascita del vostro polo universitario è uno strumento importante. E,
non meno importante, l'avvio a soluzione del problema della carenza di acqua,
per la popolazione, come per un'agricoltura impegnata in un importante processo
di trasformazione e di ammodernamento: i progressi compiuti in pochi anni dalla
vostra agricoltura, particolarmente nel settore viti-vinicolo, sono stati
notevoli.
Mi riprometto di approfondire, negli incontri che qui avrò, la mia conoscenza
del complesso e difficile problema dell'acqua, e dei progetti che avete avviato
per arrivare a risolverlo.
Premessa di ogni successo è consolidare la fiducia dei cittadini nella
Repubblica, nelle sue istituzioni; che vanno tutte ugualmente rispettate. Certi
toni aspri del nostro dibattito politico fanno male a tutti: li trovo estranei
al sentire comune degli Italiani.
Chiedo a tutti di sentire appieno la responsabilità delle funzioni a ciascuno di noi affidate; di aver sempre presente che il bene della comunità nazionale ha come presupposto il rispetto, sostanziale e formale, dell'ordinamento che ci siamo dati, il rispetto reciproco fra le istituzioni in cui si articola il nostro Stato.
Questi sono i principi cui la politica deve ispirarsi, per generare fiducia.
La fiducia non è una cosa astratta; è una forza vera. Lo ho sperimentato di
persona. Il successo nella battaglia per partecipare fin dall'inizio all'euro è
scattato quando l'opera di risanamento dell'economia italiana si è meritata la
fiducia degli altri, cittadini, mercati e governi.
Dalla creazione di un clima di fiducia, fra le forze politiche, fra le istituzioni create dalla Costituzione, e fra i cittadini e le istituzioni, dipende il futuro della nostra Italia. Bisogna essere sempre, in ogni nostro comportamento, consapevoli dei valori in giuoco, per il bene di tutti gli Italiani.
Concludo tornando ai temi regionali. Le vie che conducono a un maggior
benessere dei cittadini hanno come premessa comune uno Stato ben articolato
nelle sue strutture, fondato su autonomie che avvicinino il più possibile i
politici responsabili a coloro che li hanno eletti.
Poi ogni territorio - questa è la lezione che si apprende visitando, come sto
facendo, tutte le province italiane - deve saper ideare e realizzare un proprio
modello di sviluppo.
Esso sarà fondato in alcune aree soprattutto sull'industria tradizionale o sulle nuove tecnologie, in altre sulla specializzazione della produzione agricola, in altre ancora sulla valorizzazione dei beni culturali, o su una giusta mescolanza di tutti questi e di altri itinerari della crescita; e sempre sarà fondato sulla buona amministrazione, come sulla capacità di lavorare insieme di settore pubblico e privato, su quella che, fin dalla lontana visita di tre anni fa a Catania, ho preso l'abitudine di chiamare "l'alleanza delle autonomie".
Ma non bisogna mai dimenticarsi del principio di solidarietà. Siamo tutti
italiani; ci riconosciamo appieno solo nella Patria Italia.
Oggi, ad Agrigento, e domani a Trapani e poi in altre città della Sicilia
occidentale, voglio esprimere la mia fiducia nella vostra capacità di usare
tutte le risorse della vostra antica civiltà, della vostra cultura, dei vostri
valori tradizionali, come l'amore per la famiglia, per promuovere ed accelerare
un processo di crescita che vada incontro alle attese della popolazione
siciliana. Con questo spirito auguro, a tutti voi, buon lavoro. E grazie.